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Ribadito il diritto all'assegno di maternità e natalità in Italia
Contro il rifiuto dell’INPS, nella recente sentenza del 2 settembre 2021, i Giudici confermano il diritto all’erogazione dei benefici previdenziali alla luce del diritto alla parità di trattamento.
Secondo la Corte di Giustizia «l’assegno di natalità e l’assegno di maternità rientrano nei settori della sicurezza sociale per i quali i cittadini di paesi terzi beneficiano». È pertanto fatto divieto di discriminazioni arbitrarie che limitino o neghino la tutela della maternità e dell’infanzia.
Il caso ed il quesito pregiudiziale
L’INPS aveva negato la concessione degli assegni di natalità e maternità richiesti da alcuni cittadini di paesi terzi titolari di un permesso unico di lavoro e residenti legalmente in Italia.
Il rifiuto veniva motivato alla luce della legge di stabilità 2015 (governo Renzi) che riconosce l’assegno di natalità esclusivamente in favore dei cittadini stranieri con un permesso di soggiorno di lungo periodo.
I cittadini extra-UE decidevano quindi di contestare il rifiuto dinanzi ai giudici di legittimità.
Nelle more delle controversie, la Corte Suprema di Cassazione evidenziava numerosi contrasti tra il rifiuto dell’Ente previdenziale e la disciplina costituzionale, pertanto sottoponeva alla Consulta due questioni di legittimità costituzionale riguardanti anzitutto la legge sull’assegno di natalità (n. 190/2014) ed estendendo i propri dubbi anche in merito all’imparziale applicazione della legge sull’assegno di maternità (n. 151/2001).
La parità di trattamento tra i cittadini dello Stato membro ospitante e tutti i cittadini dei paesi terzi che vi risiedono e lavorano legalmente.
Diritto italiano
Al fine di incentivare la natalità e sostenerne le spese, la legge n. 190/2014 riconosce a tutti i cittadini italiani, ai cittadini di altri stati membri ed ai cittadini di paesi terzi titolari di un permesso di soggiorno di lunga durata, il diritto ad un assegno di natalità per ogni figlio nato o adottato.
Questo deve essere automaticamente erogato dall’INPS a condizione che la situazione economica del nucleo familiare di appartenenza del richiedente corrisponda a un determinato valore minimo dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).
Medesima ratio anche nel decreto legislativo n. 151/2001 che concede alle donne italiane e a quelle detentrici dello status di soggiornanti di lungo periodo il beneficio dell’assegno di maternità per ogni figlio nato dal 1° gennaio 2001, adottato o in affidamento.
Il rifiuto dell’INPS ed il diritto alla parità di trattamento
Nei precedenti gradi di giudizio, l’INPS ed il Consiglio dei Ministri negano la natura previdenziale degli assegni ed escludono che questi siano diretti «al soddisfacimento dei bisogni primari e indifferibili della persona», sostenendone invece la natura premiale.
Inoltre, secondo i convenuti, «solo lo status di soggiornante di lungo periodo consentirebbe un’equiparazione tendenzialmente piena del cittadino di paesi terzi al cittadino dell’Unione quanto alle prestazioni sociali»; lo stato Italiano ritiene infatti che i ricorrenti del procedimento in esame, in quanto non possessori di un permesso unico di lavoro, non siano qualificabili come “lavoratori” della Repubblica e pertanto non abbiano diritto al riconoscimento del diritto all’assegno di natalità e maternità.
Contrariamente, il giudice del rinvio evidenzia la discrepanza che allontana la posizione avversa da quanto disposto dall’art. 34 della Carta che «riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni di lavoro […]». Ed ancora, l’articolo 20 della direttiva n. 98/2011 garantisce espressamente la parità di trattamento tra i titolari di un permesso unico di lavoro e coloro i quali invece possiedono un permesso di soggiorno per fini diversi da quelli lavorativi ma che sono comunque autorizzati a lavorare nello stato membro ospitante.
La decisione della Corte
Nella sua sentenza, la Corte avvalora il diritto dei cittadini dei paesi terzi, titolari di un permesso unico rilasciato dallo Stato Italiano, di beneficiare di un assegno di natalità e maternità alla luce della direttiva n. 98/2011. Più approfonditamente, i Giudici pongono a fondamento della loro decisione il tenore letterale dell’articolo 34 della Carta che riconosce ed assicura sia l’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale che a tutti gli strumenti di omogeneità di trattamento tra i cittadini dello Stato e quelli esteri detentori dello status di soggiornanti di lungo periodo.
Occorre inoltre precisare che quando uno Stato adotta delle misure rientranti nell’ambito di applicazione di una direttiva europea, che a sua volta concretizza e fornisce delle linee guida per il riconoscimento un diritto fondamentale della Carta, gli Stati membri sono obbligati ad agire nel rispetto delle indicazioni fornite dalla direttiva.
Per quel che oggi ci riguarda, l’Unione Europea ha sancito l’importanza degli assegni di natalità e di maternità, quali strumenti di sicurezza sociale, all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), della direttiva n. 98/2011 che, alla luce della parità di trattamento di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della stessa, devono essere riconosciuti anche ai cittadini extra UE regolarmente residenti sul territorio italiano.
Escludendo i ricorrenti da tale beneficio, l’Italia ha quindi agito in modo non conforme alla direttiva in esame.
Il ruolo della Corte di Giustizia
La pronuncia oggetto di analisi evidenzia l’importanza e l’utilità del dialogo pregiudiziale tra i diversi organi di competenza, soprattutto quando le questioni giuridiche sottendono e si incentrano sulla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti sia nello Stato membro direttamente coinvolto che nell’ordinamento comunitario.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea è infatti competente sui ricorsi diretti contro gli Stati membri, un organismo o un’istituzione dell’UE; questa deve anzitutto accertarsi che lo Stato membro non si sia conformato alle direttive comunitarie e solo qualora si evidenzi una inottemperanza dello Stato, l’Organo potrà sanzionare lo stato inadempiente.
L’odierna questione ci permette inoltre di evidenziare l’importanza della cooperazione tra la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia: si tratta di uno dei più importanti strumenti di collaborazione tra le giurisdizioni il cui compito ed obiettivo primario, oltre a quello di fornire un’interpretazione autentica del diritto UE, è quello di garantire la tutela dei diritti fondamentali degli ordinamenti interni e comunitario in un’ottica di reciproca ed attiva collaborazione.
In conclusione
Alla luce di quanto sino ad ora detto, la Corte di Giustizia, nella sua pronuncia a Grande Sezione, accoglie la questione sollevata, fornendo a tutti i giudici italiani una pronuncia dotata di effetti erga omnes, e conferma che «tutti i cittadini di paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati membri dovrebbero beneficiare di uno stesso insieme comune di diritti, basato sulla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante».
I nostri esperti avvocati possono fornire consigli e indicazioni su come fare valere il diritto all’erogazione di questi assegni previdenziali e ottenere nel minor tempo possibile ciò che il diritto italiano riconosce ed il diritto europeo garantisce.
Erika Vitrano – Trainee lawyer
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