Mancato riconoscimento della filiazione con i genitori d'intenzione. Viola i diritti del minore nato da maternità surrogata?

“La CEDU ribadisce che, da un lato, è lecito che lo Stato vigili sul rispetto dell’interesse pubblico a vietare la maternità surrogata retribuita (ed in generale ad evitare che i cittadini si rechino all’estero per ricorrere alla pratica dell’ “utero in affitto” vietata in patria), non essendoci alcuna violazione dell’art.8 Cedu, ma, contestualmente, deve adottare misure atte a limitare le conseguenze negative di questo divieto sulla vita sociale e sull’identità personale dei minori che hanno diritto a mantenere legami (ed a vedersi riconosciuta la certezza degli stessi) col genitore sociale con cui hanno sempre vissuto, perché ciò viola l’art. 8 Cedu.”

Negli ultimi anni si è posta la questione di quali possano essere i diritti spettanti al genitore d’intenzione. Invero, per “genitore d'intenzione” si intende colui il quale non ha contribuito con il proprio patrimonio genetico (gamete) a concepire il minore, ma che con esso ha intenzione di instaurare un rapporto familiare.

In particolar modo, ci si è chiesti se la madre di intenzione possa adottare i figli nati da una gestazione surrogata oggetto di un contratto in virtù del quale la madre biologica venga remunerata affinché non si opponga alla adozione degli stessi da parte della madre sociale, come avvenuto nel delicatissimo e peculiare caso di riconoscimento del rapporto di filiazione: K.K. ed altri c. Danimarca (ric. 2521/219) del 6 dicembre 2022.

Nella fattispecie, la madre d'intenzione ha chiesto invano di poterli adottare, ma in ogni fase e grado di giudizio le è stato negato poiché la gestazione surrogata era stata oggetto di un contratto e la madre biologica era stata retribuita per partorire i bambini e rinunciare ad opporsi all'adozione degli stessi da parte della madre sociale.

La questione è rilevante in quanto tale pronuncia si pone in antitesi con l’orientamento emerso nel nostro ordinamento che, ex adverso, ha come scopo principale e preminente l’interesse del minore.

A tal proposito, un recentissimo caso posto all’attenzione della Corte di Cassazione, ha ribadito la tutela del superiore interesse del minore in ambito interno e internazionale, come sancita dalle convenzioni internazionali.

La Suprema Corte parte dalla premessa che: “L'ordine pubblico internazionale impone l'esigenza imprescindibile di assicurare al minore la conservazione dello status e dei mezzi di tutela di cui possa validamente giovarsi in base alla legislazione nazionale applicabile, in particolare del diritto al riconoscimento dei legami familiari ed al mantenimento dei rapporti con chi ha legalmente assunto il riferimento della responsabilità genitoriale; né può ricondursi all'ordine pubblico la previsione che il minore debba avere genitori di sesso diverso, posto che nel nostro ordinamento è contemplata la possibilità che il minore abbia due figure genitoriali dello stesso sesso nel caso in cui uno dei genitori abbia ottenuto la rettificazione dell'attribuzione del sesso con gli effetti di cui alla L. n. 164 del 1982, art. 4;” (Cass. Civ. Sez I 21.01.22 n. 1842).

Al riguardo, la Corte, con un’inversione di tendenza relativamente alla pronuncia delle Sezioni unite civili n. 12193 dell’8.5.2019, la quale aveva affermato il principio secondo cui non può essere riconosciuto nel nostro ordinamento un provvedimento straniero che attribuisca lo status di figlio a un bambino nato in seguito a gestazione per altri, in un paese in cui tale pratica sia riconosciuta come legale, nei confronti del cd. Genitore "d'intenzione" (colui cioè che non ha dato alcun apporto biologico alla procreazione), a causa dell'ostacolo, ritenuto insuperabile, ravvisato nel divieto di surrogazione di maternità, previsto dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6 qualificabile, secondo le Sezioni Unite, come principio di ordine pubblico posto a tutela di valori fondamentali quali la dignità della gestante e l'istituto dell'adozione”, ha dubitato della compatibilità di tale principio di diritto, costituente diritto vivente, con parametri costituzionali (art. 117, comma 1, Cost.) e sovranazionali (art. 24 Della Carta Dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea).

Sulla base di tali principi, con ordinanza del 29 aprile 2020, è stata rimessa la questione alla Corte Costituzionale richiamando un recente parere consultivo della Grande Camera della Corte Europea Dei Diritti dell’Uomo, con il quale è stato affermato, da un lato, che il diritto al rispetto della vita privata e familiare del bambino, a norma dell'art. 8 CEDU, richiede che il diritto nazionale offra una possibilità di riconoscimento del legame di filiazione con il genitore d'intenzione e, dall'altro, che tale riconoscimento non comporta necessariamente l'obbligo di trascrivere l'atto di nascita straniero nei registri dello stato civile, ben potendo tale diritto essere tutelato in altro modo e, in particolare, mediante l'istituto dell'adozione a condizione che le modalità di tale istituto previste dal diritto interno garantiscano l'effettività e la celerità di tale procedura, in conformità all'interesse superiore del bambino.

Rilevato, dunque, che i parametri costituzionali e sovranazionali sono tutti orientati verso la tutela dell’interesse del minore, pur non essendoci ancora unanimità tra gli stati del COE per il riconoscimento del c.d. “utero in affitto”, dovrebbe essere considerato indiscutibile il rilievo primario della salvaguardia dei “migliori interessi” (best interests) o “dell’interesse superiore” del minore, sicchè indiscutibile è l'interesse del bambino a che tali legami abbiano riconoscimento non solo sociale, ma anche giuridico, allo scopo di essere identificato, egli stesso, dalla legge come membro di quella famiglia o di quel nucleo di affetti composto da tutte le persone che in concreto ne fanno parte; ciò anche laddove il nucleo in questione sia strutturato attorno ad una coppia composta da persone dello stesso sesso, dal momento che l'orientamento sessuale della coppia non incide di per sé sull'idoneità all'assunzione di responsabilità genitoriale (Sent. n. 221 del 2019; Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962; sezione prima civile, sentenza 11 gennaio 2013, n. 601).

Cristina Ruisi
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