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Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e l'obbligo di repechage alla luce dei recenti interventi della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale
Preliminarmente occorre sottolineare che il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro decide di intimare al lavoratore il recesso dal rapporto di lavoro.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a differenza di quello per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, si configura allorquando il recesso è strettamente connesso a ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
All’uopo, si deve necessariamente sottolineare che ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo devono ricorrere una serie di condizioni:
a) il riassetto organizzativo deve essere effettivo e fondato su circostanze realmente esistenti al momento della comunicazione del recesso;
b) deve sussistere un nesso causale tra il riassetto aziendale e il licenziamento intimato al lavoratore;
c) la scelta del lavoratore da licenziare deve avvenire secondo i criteri della correttezza e della buona fede;
d) deve essere necessariamente rispettato il termine di preavviso o, in mancanza, corrisposta l’indennità sostitutiva;
e) deve essere rispettato il c.d. “obbligo di repechage”.
L’obbligo di repechage consiste essenzialmente nel vincolo per il datore di procedere ad una ricollocazione proficua del dipendente all’interno dell’organizzazione aziendale, attribuendogli mansioni diverse, quand’anche appartenenti a un livello contrattuale inferiore a quello ricoperto.
Soltanto nel caso in cui sia constatata l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni, il datore di lavoro può procedere legittimamente all’intimazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Tuttavia, l’onere probatorio della mancata possibilità di repechage deve essere assolto dal datore di lavoro. Sul punto, è doveroso sottolineare che con la recente sentenza n. 35496 del 2.12.2022, la Corte di Cassazione, richiamando l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 59/2021 e n. 125/2022, ha statuito che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la violazione dell’obbligo di repechage equivale ad insussistenza del fatto e, dunque, comporta pacificamente l’applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 18 della Legge n. 300/1970.
Pertanto, sulla base delle citate pronunce, la mancanza di anche uno solo dei suddetti requisiti configura la fattispecie dell’insussistenza del fatto e determina conseguentemente il diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro. Dunque, il lavoratore che ritenga di essere stato ingiustamente licenziato per giustificato motivo oggettivo può proporre impugnativa stragiudiziale nel termine di 60 giorni decorrenti dalla comunicazione di recesso e, nei successivi 180 giorni, ricorso giudiziale al Tribunale del lavoro competente al fine di far dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimato e ottenere la reintegra nel posto di lavoro, oltre al pagamento delle mensilità maturate a far data dal licenziamento sino alla sentenza del Tribunale che dispone la reintegra.
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