Appalti: Il Decalogo per la formulazione di valida azione risarcitoria da mancata aggiudicazione.

La recente sentenza TAR Catania Sez. I del 24.7.2023 n° 2304, respingendo un ricorso inerente ad un’azione risarcitoria proposta contro un Comune, chiarisce e puntualizza come va correttamente proposta ed istruita l’azione risarcitoria da mancata aggiudicazione.

Innanzitutto il TAR ribadisce che il principio “acquisitivo” che governa il processo amministrativo cessa di operare nella normale azione risarcitoria, ed in special modo in relazione alla dimostrazione del danno subito, ove subentra il normale principio “dispositivo” proprio del codice di procedura civile e dell’art. 2697 del codice civile, che chiarisce che l’attore/ricorrente deve fornire piena prova dei fatti costitutivi del diritto al risarcimento.

E’ noto infatti che nell’ambito dei pubblici appalti non occorre alcuna indagine circa il profilo soggettivo per accertare la responsabilità della P.A., come da autorevole precedente della Corte Europea di Giustizia e confermato dalla prevalente giurisprudenza nazionale. Sicchè, se è ben vero che nel settore dell’affidamento degli appalti pubblica la P.A. risponde anche per normale responsabilità oggettiva, poiché la “colpa” si presume ed è insita nella mancata aggiudicazione (principio questo – si badi bene - che vale solo per gli appalti e non per qualunque azione risarcitoria, ove anche la colpa va dimostrata dal ricorrente), nessuna presunzione o alleggerimento probatorio opera quanto alla dimostrazione concreta del danno sofferto e di cui si chiede il risarcimento.

Il TAR ribadisce tale concetto chiarendo che ai sensi degli artt. 30,40 comma1°, lett e) e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di aver sofferto, aggiungendo che spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento; quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere e il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c.. Sicchè, la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c. (cd. equità integrativa) , è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno (principio da sempre applicato anche nella giustizia civile).

Ne consegue altresì che va esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo).

Nel caso in ispecie mancava anche la chiara prova del diritto all’aggiudicazione, ma normalmente tale aspetto è raramente controverso, mentre è senza dubbio molto più frequente la contestazione sulla prova/dimostrazione del danno subito.

Come deve fare allora l’impresa che chiede il risarcimento per non rischiare il rigetto per carenza di prova sul danno ? Deve innanzitutto allegare la propria offerta ed allegare altresì una sorta di “giustificazioni dell’offerta”, ossia deve ipotizzare di aver subito per quella gara una verifica d’anomalia e deve fornire le proprie documentate giustificazioni.

Ciò dovrebbe essere sufficiente per comprovare documentalmente in maniera sufficiente e quantificare l’utile d’impresa e quindi il mancato guadagno di cui si chiede il risarcimento, abbandonando l’idea che possa esser sufficiente il richiamo all’utile d’impresa forfettario del 10 %. L’impresa deve però altresì sforzarsi di dare la prova di non avere utilizzato o potuto utilizzare altrimenti maestranze e mezzi, rischiando altrimenti un abbattimento forfettario del risarcimento in applicazione del principio aliunde perceptum vel percipiendum , spesso utilizzato per limitare i danni.

Tale argomento dovrebbe però poter essere contrastato evidenziando che anche l’aver usufruito in ipotesi degli appalti y, z, etc. non avrebbe precluso (noleggiando mezzi ed assumendo personale) lo svolgimento dell’appalto x della cui mancata aggiudicazione si discute, ragion per cui l’applicazione di tale principio non pare molto condivisibile e potrebbe porsi in contrasto con vari principi comunitari.

A ciò va aggiunta la prova del danno curriculare subito, conseguente al mancato accrescimento dei requisiti di partecipazione.

Silvio Motta
Partner
Carmelo Barreca
Of Counsel
 

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