La Corte Suprema ed alcune specificazioni sul contratto di Leasing: un ultimo arresto sulla clausola di confisca e sulla determinabilità dei tassi di interesse.

L’argomento della risoluzione dei contratti di leasing strumentale ha sempre dato in passato corso ad un complesso contenzioso dalle molteplici sfaccettature.

Da ultimo, la Corte Suprema è tornata con una recentissima pronunzia sull’argomento, specificando alcuni aspetti certamente interessanti (si fa riferimento a Corte di Cassazione Civile, 17 ottobre 2023, numero 28824).

La pronunzia invero affronta alcuni argomenti già ben conosciuti e trattati ed altri che, invece, in passato non erano stati affrontati dalla giurisprudenza se non in via incidentale ed occasionale con riferimento ai contratti di leasing.

In particolare ed in primo luogo, innanzi alla Corte si è discusso della qualificazione e disciplina della cd. “clausola di confisca”, contenuta in parecchi contratti di leasing.

Viene usualmente così definita quella clausola contrattuale che prevede, quale conseguenza dell’accertato inadempimento del soggetto finanziato all’obbligo di pagamento dei canoni, che il concedente consegua al contempo sia la restituzione dei beni concessi in locazione sia la ritenzione integrale dei canoni corrisposti sino al momento dell’inadempimento.

Evidentemente, una clausola di tal fatta può avere un effetto distorsivo allorchè il contratto sia già in avanzato stato di esecuzione: l’utilizzatore inadempiente agli ultimi residui canoni di locazione potrebbe infatti trovarsi nella spiacevolissima posizione di esser privato sia del bene concesso, sia di tutte le somme versate (la cui capitalizzazione potrebbe superare di gran lunga il valore del bene concesso).

Sul punto la Corte, richiamando un corposo numero di propri precedenti, ha ritenuto che una tale clausola vada inquadrata nella disciplina della penale contrattuale ai sensi dell’art. 1382 c.c., come tale suscettibile di essere ridotta anche d’ufficio dal Giudice nella ipotesi in cui ne ritenga la manifesta eccessività.

Così ritenendo, la Corte ha valutato la legittimità della decisione del Giudice che – fermo restando l’obbligo di restituzione del bene in conseguenza dell’inadempimento dell’utilizzatore – obblighi il finanziatore alla restituzione di parte dei canoni già versati.

Ma la Corte si è spinta oltre, facendo riferimento ai propri precedenti, quantificando anche nel merito il quantum della riduzione della penale contrattuale, che essa individua nella misura del valore residuo del bene: qualora pertanto la sommatoria dei canoni già versati ecceda tale valore, il Giudice può di conseguenza determinare gli opportuni conguagli a favore o a sfavore del concedente.

Altro criterio è quello di scindere l’effettivo valore congruo della quota cd “locativa” (che certamente l’utilizzatore deve corrispondere avendo comunque goduto del bene concesso in leasing) dal surplus che attiene all’intera operazione finanziaria.

Sotto altro aspetto, la Corte affronta anche altro tema, non frequente con riguardo ai contratti di leasing (a fronte della loro natura composita anche quali contratti di finanziamento).

In particolare, nella fattispecie sottesa alla controversia giunta fino alla Cassazione si discuteva della pretesa indeterminatezza dei tassi di interesse applicati ai canoni dovuti al finanziatore quale contropartita del finanziamento concesso. In particolare, si è posta in dubbio la validità della clausola di definizione del tasso d’interesse (ed in definitiva, dunque, dell’ammontare dei canoni), la quale non indicava un tasso predefinito, ma faceva riferimento ad un criterio di calcolo esterno mediante un richiamo ad elementi esterni, tuttavia oggettivamente determinabili.

Sul punto, la Corte ha fatto richiamo ai propri numerosi precedenti, già emessi in merito a contratti di finanziamento puro (principalmente, mutui fondiari), allorchè si è già ritenuto che si è ritenuta valida la clausola che, pur non prevedendo tassativamente “un numero” in relazione al tasso di interesse, comunque permetta la definizione dell’importo finale dei canoni a mezzo di “(…) un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse.(…)”. Nei termini individuati, il saggio d’interesse anche apposto al contratto di leasing è sicuramente valido, “(…) non rilevando la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale, né la perizia richiesta per la sua esecuzione.(…)” ma, al contrario, la sua matematica ed inoppugnabile certa definibilità.

Laddove ciò succeda, la Corte ritiene il contratto di leasing comunque conforme al principio di trasparenza contrattuale dei contratti bancari, imposto dall’art. 117 del TUB (si vd. sul punto anche il richiamo di cui alla pronunzia a Cass. 19/05/2010, n. 12276).

Silvio Motta
Partner
Carmelo Barreca
Of Counsel
 

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