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Appalti: il complicato calcolo del triennio in cui rilevavano i gravi illeciti professionali che possono condurre all'escursione e che vanno dichiarati in gara
La recente sentenza del TAR NA n° 6475 del 23.11.2023 riaffronta la vexata questio del computo del termine a ritroso di decorrenza, e conseguente rilevanza, del compimento di illeciti professionali potenzialmente escludenti – previa valutazione discrezionale della stazione appaltante - dalle gare pubbliche.
La questione si pone allorquando vi sia un procedimento penale da cui la stazione appaltante possa trarre la conoscenza del compimento di tali illeciti professionali.
La sentenza assume particolare rilievo, ma genera incertezza, perché nel fare il punto giuridico sul tema, evidenzia l’esistenza di plurime differenti posizioni della giurisprudenza amministrativa circa l’individuazione del dies a quo del termine triennale di cui al citato art. 57, § 7,della direttiva 2014/24/UE, disciplinante l’obbligo dichiarativo incombente sui concorrenti in ordine alle vicende penali interessanti i vertici aziendali.
Osserva il TAR che secondo un primo orientamento, il termine triennale decorrerebbe dal “passaggio in giudicato della sentenza di condanna”.
Vi è tuttavia un secondo orientamento che sostiene la necessità di ancorare il termine de quo al momento di “pubblicazione della sentenza, ancorché non definitiva”, che “accerti”, nella sede sua propria, la rilevanza penale del fatto.
Si segnala poi un terzo orientamento che sostiene il richiamo a qualunque obiettiva “vicenda”processuale (es.: richiesta di rinvio a giudizio, adozione di misure cautelari et similia), in grado di “dare evidenza”, sia pure non definitiva, al “fatto imputato”.
Si segnale infine un quarto (più garantistico) orientamento, che afferma la decorrenza del termine triennale dal “fatto storico commesso”, asseritamente in linea con l’articolo 57, § 7, della direttiva2014/24/UE.
Ben 4 diverse soluzioni quindi, in ordine alla rilevanza (ormai destinata a scomparire) del regime degli illeciti professionali rilevanti ai sensi del previgente (ma ancora applicabile in varie vicende ancora pendenti) art. 80.5 del D.Lvo 50/16, che sinceramente disorientano e sembrano davvero troppe.
Il TAR con la sentenza sopra richiamata ha ritenuto di aderire al terzo orientamento, assumendo che la valorizzazione della vicenda processuale quale primo momento per il rilievo escludente dell’illecito penale comporta un adeguato e ragionevole bilanciamento tra l’interesse del concorrente (alla limitazione temporale della rilevanza esclusiva dell’illecito professionale) e quello della stazione appaltante (tutela dell’affidabilità, professionalità e serietà dei candidati). Da un lato, infatti, il minimum ontologico valutabile dalla stazione appaltante non può prescindere da un atto giudiziale che abbia ritenuto che la notizia criminis non fosse suscettibile di immediata archiviazione o che, anche in un momento precedente rispetto a tale valutazione, ricorresse una consistenza indiziaria grave precisa e concordante (art. 273 c.p.p.) tale da aver condotto all’emissione di una misura cautelare personale, restrittiva o interdittiva, ovvero, quantomeno, sussista un consistente fumus tale da aver condotto alla emissione della misura cautelare reale ex art. 321 c.p.p. ovvero all’adozione di un decreto di diretta citazione in giudizio.
Dall’altro lato, in occasione della emissione di tali atti ha luogo la discovery delle fonti di prova che - seppur non integrale - fa sì che l’interessato venga reso edotto del materiale probatorio sul quale detti atti si fondano o comunque possa accedervi, garantendogli la base documentale sulla quale potersi difendere anche all’interno del sub-procedimento di esclusione. Infatti, anche ove prima dell’emissione di tali atti venisse divulgata la notizia della pendenza di un procedimento penale a carico di taluno, il soggetto interessato– spesso, come nel caso di specie, non coincidente con l’indagato, almeno formalmente - non potrebbe in alcun modo accedere agli atti di indagine (art.329 c.p.p.) e, pertanto, in alcun modo potrebbe esercitare il proprio diritto di difesa per contestare la propria esclusione dalla gara.
Osserva il TAR che tale orientamento è anche coerente con il disposto dell’art. 129,comma 3, ultima parte, disp. att. c.p.p. che dispone, per alcuni delitti, che il P.M. informi il presidente dell’ANAC dell’esercizio dell’azione penale, dando notizia dell'imputazione e rendendo così anche formalmente “rilevanti” e, dunque, “valutabili”, pure sul piano amministrativo, i fatti oggetto d’indagine. La tesi qui riportata sconta tuttavia il pericolo che ad esempio la richiesta di rinvio a giudizio giunga dopo vari anni dalla commissione del fatto, dilatando enormemente la finestra temporale dell’illecito professionale.
Silvio Motta
Partner
Carmelo Barreca
Of Counsel
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